Spesso quando si sente parlare di compassione si pensa istintivamente ad un concetto legato alla religione o alla spiritualità e questo automatismo può generare preconcetti e fraintendimento, ma in realtà la compassione è un'attitudine prettamente umana che, come vedremo, può regalare qualità e benessere al nostro stile di vita. Le neuroscienze contemplative sono sempre più motivate a studiare il legame, ormai noto, tra la meditazione di consapevolezza o Mindfulness e il potenziamento di alcune aree specifiche del nostro cervello.
Le pratiche di consapevolezza, se inserite nella nostra quotidianità e portate avanti con continuità e impegno, sono in grado di attivare più facilmente e frequentemente quei circuiti neuronali coinvolti nel processo di sintonizzazione con noi stessi e con gli altri e nell'empatia. Più questa connettività neurale viene attivata, più il nostro stile di pensiero e i nostri comportamenti si orientano verso un maggior senso di connessione e di presenza nel mondo. Questa capacità di trasformarzione espressa dal nostro cervello viene chiamata neuroplasticità e indica l'abilità dello stesso di cambiare e modellarsi grazie alla ripetizione di determinate esperienze e stimoli. In virtù di questa caratteristica, la costanza e la regolarità delle pratiche meditative gioca un grande ruolo nel consolidamento di quanto appreso in un percorso di crescita basato sulla Mindfulness.
La Mindfulness ridimensiona l'individualismo
La visione del mondo di una persona riveste una grande importanza nel determinare il modo in cui si risponde alle esperienze traumatiche. Il Dalai Lama racconta spesso di come il popolo tibetano sia relativamente immune ai sintomi tipici dei disturbi post traumatici perché coltiva fin da sempre un'attitudine alla vita fondata sul non giudizio, di se stessi e degli altri, e sulla compassione.
In occasione del XIII Mind and Life Dialogue, Matthieu Ricard, importante scrittore e monaco buddhista di scuola tibetana, raccontò di come uno studio che interessava le comunità buddhiste del Bangladesh, spesso soggette ad inondazioni e catastrofi naturali, dimostrasse che i bambini buddhisti, rispetto ai loro conterranei appartenenti ad altre tradizioni religiose, manifestavano un livello di stress significativamente più basso. Lo studioso fornisce un'interessante spiegazione di questo fenomeno: "Diversamente da quello che accade in una cultura molto individualistica, dove si è sempre preoccupati di ciò che potrebbe succedere a se stessi, questa ansia potrebbe diminuire quando le proprie preoccupazioni sono meno centrate su di sé. Di conseguenza ci si sente meno vulnerabili e si nutre fiducia nel fatto di avere le risorse interiori per affrontare qualunque cosa si presenti sulla propria strada".
Purtroppo il nostro cervello, così complesso ed evoluto, è molto predisposto, soprattutto a causa dei valori propagandati dalla cultura occidentale dominante, a ragionare in termini individualistici e questa inclinazione induce in noi chiusura, diffidenza e autoreferenzialità, limitando notevolmente le nostre possibilità di agire e cimentarsi in esperienze che richiedono più contatto e sintonizzazione con noi stessi e con l'altro.
Ciò che viene promosso nelle pratiche di consapevolezza è infatti il recupero di quella umana dimensione di connessione, presenza e sintonizzazione con il nostro mondo interno ed esterno che riduce il nostro senso di isolamento e scollegamento dalla realtà circostante e rivitalizza quell'atteggiamento di fiducia in noi stessi e negli altri tramite l'affinata capacità di valutare gli elementi di realtà e maturare scelte più aderenti ad una condizione di benessere in senso globale.
Il legame tra empatia e compassione nella Mindfulness
L'empatia consiste in una partecipazione emotiva all'esperienza dell'altro che implica un "sentire con" e un "sentire dentro" ciò che l'altro prova percependone emozioni e pensieri. Le ricerche sul funzionamento del nostro cervello ci rivelano l'esistenza di tre tipi di empatia. L'empatia cognitiva che ci consente di adottare il punto di vista dell'altro e comprendere come pensano le altre persone; l'empatia emozionale che ci fa sentire cosa l'altro stia provando in quel dato momento; la sollecitudine empatica che è alla base dell'atteggiamento compassionevole.
In "The How of happiness" la psicologa Sonja Lyubomirsky spiega come uno dei fattori più rilevanti in grado d'influenzare la nostra felicità consista proprio nella nostra attitudine ad essere in connessione col mondo circostante provando empatia, gratitudine e scegliendo di essere gentili e generosi con gli altri.
In quest'ottica la compassione diventa centrale perché incarna l'attenzione empatica rivolta alla sofferenza, in modo gentile e accogliente, auspicando che l'altro possa liberarsi della sofferenza stessa. La compassione è un senso di preoccupazione che nasce in noi quando ci troviamo di fronte al dolore di un'altra persona e vorremmo che si attenuasse, pertanto collega il senso di empatia alla gentilezza e alla generosità, divenendo espressione di un atteggiamento altruistico, oltre che profondamente umano. Mentre l'empatia consiste semplicemente nel condividere le emozioni di un altro ,la compassione si spinge oltre perché ci induce anche a desiderare il meglio per quella persona e,spesso,ad agire in quella direzione.
La nostra difficoltà ad entrare in contatto con la compassione
Il concetto di compassione spesso desta qualche perplessità in noi: a volte è accompagnato da una specie di agitazione sottocutanea perché evoca in noi un senso di vulnerabilità e d'impotenza in quanto ci esorta a contattare quel disagio emotivo che subentra quando incontriamo il dolore dell'altro. Questa dinamica per noi diventa spesso scomoda poiché ci avvicina anche al nostro dolore e , si sa, non ci piace entrare in relazione con ciò che fa male! Inoltre dagli studi dello psicologo Paul Gilbert emerge che molte persone ipotizzano conseguenze negative connesse al provare compassione come lo sfruttamento, la dipendenza degli altri o dagli altri e l'incapacità di tollerare la sofferenza. Molti avversano anche la compassione provata dagli altri nei propri confronti perché temono di sentirsi in debito e alcuni respingono anche la compassione verso se stessi, la self compassion, perché credono che equivalga a diventare deboli.... ma in verità, come vedremo tra poco, la capacità di provare empatia e compassione porta con sé più i benefici che svantaggi.
I benefici dell'empatia e della compassione nei percorsi di Mindfulness
Numerosi studi evidenziano come la tendenza a dirigere la nostra attenzione verso gli altri, prendendocene cura con autentico interesse e compassione, contribuisca in modo significativo al nostro benessere e alla nostra longevità. Sembra infatti che quando compiamo un gesto compassionevole, si mobilitino gli stessi centri del piacere che si attivano quando pensiamo al cioccolato. Infatti quando noi aiutiamo il prossimo, sperimentiamo un senso di gratificazione accompagnato al rilascio dell'ossitocina, considerato anche l'ormone dell'amore e della felicità, lo stesso ormone che viene liberato dalle madri che allattano e indispensabile a creare un legame sano tra madre e bambino, che accresce il senso di fiducia e promuove la socializzazione. Inoltre quest' ormone produce svariati effetti benefici per la salute, uno tra tanti è ad esempio la riduzione dello stato infiammatorio nel sistema cardiovascolare.
Cosa succede nel cervello quando si prova empatia e compassione
Gli studi della ricercatrice Tania Singer in collaborazione con il monaco Matthieu Ricard sul rapporto tra empatia e dolore pubblicati su "Science" nel 2004, già all'epoca rilevarono che quando osserviamo il dolore e la sofferenza altrui, si attivano le stesse reti neurali che entrano in funzione quando siamo noi a provare quelle stesse sensazioni perché il dolore dell'altro scatena una specie di allarme neurale che si sintonizza immediatamente sulle emozioni della persona che soffre, creando in noi uno stato d'allerta, come se fossimo di fronte ad un pericolo.
Di contro invece, quando generiamo compassione per quella sofferenza e per quel dolore, si mobilita un differente insieme di circuiti neuronali,associati ai sentimenti di calore, amore e sollecitudine. Dagli studi condotti sul funzionamento cerebrale dei meditanti di lunga data attraverso scansione cerebrale eseguita durante la meditazione, è stato riscontrato che quando un meditante coltiva l'empatia durante la pratica, condividendo la sofferenza di un altro, si mobilitano le reti neurali per il dolore; quando i meditanti sviluppano compassione, sempre durante la pratica meditativa, ovvero sentimenti di amore e sollecitudine verso coloro che soffrono, si accendono i circuiti cerebrali legati ai sentimenti positivi e all'affiliazione.
É come se la compassione diventasse un antidoto contro il dolore provocato dall'essere empatici verso qualcuno e del resto, se non ci fosse empatia, non saremmo in grado di sviluppare questo potente strumento di benessere e connessione che è proprio la compassione stessa!
Questa rivelazione riveste una grandissima importanza perché se la compassione è in grado di trasformare positivamente quel disagio che l'empatia ci induce, allora diventa un'ottima risorsa per eviatre quel senso di esaurimento e quello stato di burnout a cui vanno incontro soprattutto i professionisti del settore sanitario come infermieri, medici e psicologi. Come commentano Richard Davidson e Daniel Goleman nel loro libro "La meditazione come cura" : "Anziché limitarsi a sentire l'angoscia dell'altra persona, l'addestramento alla compassione portava all'attivazione di circuiti cerebrali completamente diversi, ovvero quelli legati alla sollecitudine amorevole e, di conseguenza, conduceva allo sviluppo di sentimenti positivi e al rafforzamento della resilienza". Non a caso il Dalai Lama ripete spesso che la prima persona a beneficiare della compassione è proprio chi la prova.
La compassione verso se stessi nella Mindfulness
E il beneficio è massimo quando cominciamo ad indirizzare la compassione anche verso noi stessi, ovvero coltiviamo la self compassion. La psicologa Kristin Neff ha individuato diversi aspetti nel nostro modo di rivolgere compassione a noi stessi, primo tra tutti, accettare l'idea che vi siano parti della nostra personalità che potrebbero non soddisfarci e nonostante tutto, evitare di rimproverarci mentre cerchiamo di migliorarle.
Nel percorso MBSR la meditazione della compassione è sempre particolarmente apprezzata dai partecipanti e inserirla nella propria pratica quotidiana consolida dei cambiamenti importanti nel cammino evolutivo dei meditanti.Basti pensare che sono sufficienti 7 ore totali di pratica della compassione nel corso di due settimane per favorire un incremento della connettività in circuiti fondamentali per l'espressione dell'empatia e di stati d'animo positivi.
Come la Mindfulness promuove l'atteggiamento empatico
Nel percorso di crescita basato sulla Mindfulness viene costantemente promossa e stimolata la nostra capacità di connessione e sintonizzazione attraverso delle pratiche specifiche che prevedono una costante autoregolazione intenzionale dell'attenzione e della focalizzazione, al fine di riconoscere, sempre più approfonditamente, quali possono essere le nostre reazioni o le nostre risposte agli stimoli provenienti sia dal nostro mondo interno che esterno. Questo allenamento ad affinare la nostra conoscenza di noi stessi, ci mette nella condizione di scegliere comportamenti, direzioni e approcci relazionali sempre più appropriati ai contesti di vita che incontriamo e sempre più rispettosi dei nostri bisogni. Nel percorso di consapevolezza si esperiscono anche pratiche mirate che riguardano la compassione e la gentilezza e che rafforzano la nostra naturale inclinazione ad entrare in contatto con l'altro e ad aiutarlo, dove e quando sentiamo che è possibile farlo, e si allenano così i circuiti neuronali legati ai sentimenti positivi e alla sollecitudine empatica.
L'importanza dell'empatia nella nostra vita
La ricerca scientifica con tecniche di brain imaging, come la risonanza magnetica funzionale, ha mostrato che la meditazione aumenta l'attivazione dell'insula, una parte del cervello fondamentale per il nostro senso di connessione umana. L'empatia infatti ci consente di vedere noi stessi "entrando nella pelle dell'altro" e quindi ci aiuta a dare una lettura della situazione assumendo un punto di vista più simile a quello della persona che abbiamo davanti e proprio per questo motivo è coinvolta negli atteggiamenti che esprimono compassione e gentilezza amorevole. Se noi osservassimo con uno scanner l'interno del cervello di una persona che sta provando vera empatia verso un altro essere vivente, vedremmo pulsare di vita l'area dell'insula. Una pratica costante delle meditazione di consapevolezza o Mindfulness non solo rafforza quell'area ma ne favorisce anche la crescita e l'espansione e " bastano anche solo otto settimane di allenamento alla consapevolezza perché si rilevino modificazioni nella modalità di funzionamento di questa area cerebrale così determinante." (M. Williams e D. Penman, 2014)